Il diritto di realizzarsi

Ho sottolineato più volte negli articoli precedenti un aspetto a cui credo fermamente: anche una persona con disabilità, può e ha il diritto di realizzarsi esattamente come tutti gli altri.

Ormai avete imparato a conoscermi e sapete che io ho questa convinzione: “Nulla è impossibile, se ci sono degli ostacoli, basta avere pazienza e cercare la maniera di superarli!”.

Sicuramente sono necessarie delle caratteristiche personali, come la voglia di mettersi in gioco e una grande forza di volontà che permettono più facilmente di arrivare all’obiettivo, ma non basta.

Da soli non ce la si può fare.

Intendiamoci tutti abbiamo bisogno del sostegno e della collaborazione degli altri, ma per una persona con disabilità, la famiglia ha un ruolo fondamentale, non solo per trasformare in realtà le proprie aspirazioni, ma anche per scoprirle, immaginarle e cominciare a sentire quel desiderio di potercela fare.

Non ho alcun dubbio su questo: io senza la mia famiglia non sarei niente! La persona che sono oggi, ciò che sono riuscito a realizzare, è arrivato grazie all’appoggio, il sostegno e all’aiuto concreto dei miei genitori e di mio fratello.

Non è facile spiegare in queste poche righe il tanto che ho ricevuto e che continuo a ricevere, ma provo a riassumere i tre ingredienti fondamentali che secondo me stanno alla base e in qualche modo, se funzionano, portano a grandi traguardi.

1. Per la mia famiglia io sono Luca. Prima arriva la persona in quanto tale, poi la disabilità. O meglio, i miei limiti fisici, non sono visti come una disgrazia. Sono semplicemente parte di me. Cerco di essere ancora più chiaro. Io sono la persona di oggi, anche grazie alla mia disabilità, che mi ha portato a vivere delle esperienze, fare delle scelte, che mi hanno fatto crescere e formare come persona. La mia famiglia questo me l’ha trasmesso fin da piccolo. Sono cresciuto con la consapevolezza di avere dei limiti, ma dopo tutto chi non li ha? I miei sono semplicemente più evidenti, a volte più difficili da affrontare e da superare, ma la mia famiglia ha fatto un lavoro straordinario: mi ha aiutato a riconoscere questi miei limiti, ma non si è fermata a questo, mi ha fatto capire che ho la possibilità di andare oltre, è vero alcune cose non le posso fare (tipo la Maratona di Venezia correndo), ma posso puntare su molto altro. Ogni persona ha dei punti di forza su cui concentrarsi per la propria realizzazione.
2. Una volta individuati i punti di forza e le capacità, è necessario che la famiglia stimoli il proprio figlio a trovare ciò che lo fa stare bene, che lo renda felice, che lo faccia sentire realizzato. Prima di tutto aiutandolo a mettersi in gioco, facendogli provare più esperienze possibili e in un secondo momento, una volta individuato ciò che in è in grado di fare e che ama, sostenerlo e fargli sentire che lo si apprezza per quello che riesce a realizzare. Io dico sempre che le persone che ho il privilegio di avere al mio fianco, hanno sempre molta più fiducia nelle mie possibilità rispetto a quanta ne abbia io.
3. Il terzo ingrediente è pratico, cioè quello dell’aiuto concreto. Faccio due esempi. Ho frequentato l’università, ma se i miei genitori per quattro anni, non mi avessero portato ogni sera a Brescia, per me sarebbe stato impossibile intraprendere questa strada. Lo stesso vale anche ora: se mamma non mi accompagnasse ogni volta nei luoghi dove presento i miei romanzi, io non potrei vivere queste serate che mi fanno stare così bene.

Quindi in tre parole: accettazione, fiducia e aiuto concreto. Questi sono i tre ingredienti con cui una famiglia può aiutare una persona disabile nella sua realizzazione. Per me è stato così. Mi ritengo davvero fortunato e per i miei familiari nutrirò sempre un sentimento di immensa gratitudine.

Luca Dalla Palma

Salva