Mondo Abilità

Il Blog di Altravoce Onlus

Altravoce: persone davvero speciali

 

Diversi anni fa un esponente politico ormai decaduto, messo di fronte a una crisi che coinvolgeva il suo partito, se ne uscì con un ragionamento che si potrebbe sintetizzare in questo modo: se ignori un problema, il problema non esiste.

Questo modo di vedere le cose è purtroppo ancora piuttosto diffuso, sia nella classe dirigente (ma non ci sarebbe bisogno di ricordarlo…) che nella cosiddetta «società civile», pittoresca quanto abusata definizione ormai sinonimo di conformismo e all’interno della quale un simile atteggiamento è ancor più riscontrabile quando si ha a che fare con il mondo della disabilità, come emerso durante la mia intervista a Silvia Franzoni, che insieme a Fabio Dalceri dal 2011 dirige il centro di Musica Inclusiva Orchestrale Altravoce, a Boario Terme, un incontro che era stato fissato solamente per parlare di musica…

 

Siamo alla conclusione dell’anno accademico 2017-2018: quale bilancio puoi fare?

Un bilancio senz’altro positivo, nel quale spiccano tre voci molto importanti. La prima riguarda la grande innovazione portata dall’apertura dei nostri percorsi a nuovi musicisti che si sono aggiunti alla squadra già esistente, portandoci così ad avere una dozzina di docenti: per gli studenti questa novità ha rappresentato un fatto estremamente positivo, in quanto hanno dovuto adattarsi a nuovi volti e nuovi metodi di insegnamento, crescendo non solo nell’apprendimento dello strumento musicale. Ma anche gli insegnanti sono «cresciuti», in particolare quelli che non avevano mai operato nell’ambito della musicoterapia o che, pur vivendo in Valle Camonica, non conoscevano la nostra realtà. E poi c’è stata una collaborazione con Luca Dalla Palma per il blog <<Mondo Abilità>> di altravoce.it ; Luca è un ragazzo di Borno, nonché scrittore, che con i suoi articoli evidenzia aspetti e situazioni legati al mondo della disabilità proprio dal punto di vista del disabile (l’articolo intitolato «E se incontrarmi fosse normale?» è magnifico nel mettere a nudo certi atteggiamenti e l’ipocrisia che li permea, ndr), quindi la figura che meglio di chiunque altro può valutare simili tematiche.

E la terza voce?

La terza grande notizia è che ben due gruppi orchestra arriveranno al diploma avendo concluso il loro terzo anno di studi, traguardo che verrà celebrato con l’ensemble nel festival “Diversità in Sinfonia IV ed.” il prossimo 27 maggio presso il Teatro Crystal di Lovere e che significherà per alcuni di loro l’ingresso nella Grande Orchestra Sinfonica Altravoce a partire dalla prossima stagione.

In questi anni abbiamo parlato più volte della risposta del territorio rispetto al vostro lavoro, sorprendentemente scarsa se paragonata ad altre iniziative legate a tematiche simili. È cambiato qualcosa?

Per quanto riguarda i musicisti direi di sì, come dimostrato dai nuovi docenti e dai nuovi membri dell’orchestra. Se invece guardiamo alla partecipazione del «territorio», le cose non vanno altrettanto bene.

Come te lo spieghi?

A prescindere dai discorsi di circostanza, la disabilità non «piace», e le cose che non piacciono si evitano. Potremmo parlare (anzi, riparlare) per ore di come queste problematiche vengono affrontate nella realtà – non a parole – e delle difficoltà che quotidianamente incontrano operatori e famiglie. Ma resta il fatto che la disabilità è ancora considerata un problema nascondere.

Cosa pensi occorra fare per cambiare questa situazione? Cosa serve? Cosa manca?

Penso che a mancare sia soprattutto il dialogo. Al di là delle reazioni più o meno istintive che ognuno può avere (tutte legittime, sia chiaro), parlare di disabilità è ancora un tabù, quindi per chi se ne occupa diventa molto difficile comunicare con chi potrebbe dare una mano, anche solo riguardo quelle esigenze che possono sembrare piccole ma che in realtà significano molto.

Quindi mi dici che non c’è niente da fare?

Tutt’altro: ci sarebbe molto da fare! Ma quando si è in pochi ogni ostacolo diventa difficile da rimuovere, anche il più piccolo, e tutto questo è ancora più difficile perché chi opera in questo ambito è costantemente impegnato, non può fermarsi un attimo e quindi non ha spazio per dedicarsi anche a questi aspetti, innescando un cortocircuito che non si riesce a riparare mentre, dall’altro lato, chi potrebbe contribuire a risolvere il problema preferisce ignorarlo. E il problema rimane.

Hai parlato di due gruppi che completeranno il terzo anno: ci sarà comunque un ricambio?

Il ricambio c’è, visto che abbiamo anche un gruppo di adulti e uno di bambini che passeranno al secondo anno. Il sogno sarebbe avere ogni giorno della settimana impegnato da classi piene, ma proprio per i motivi di cui ho parlato bisognerà lavorare molto per arrivarci, così come per raggiungere l’obiettivo di creare un’orchestra stabile.

Tornando all’orchestra: quale sarà il programma della serata del 27 maggio?

Il repertorio comprenderà composizioni di Ludwig Van Beethoven, Edvard Grieg e Johannes Brahms, una proposta complessa che dimostra il grande lavoro fatto dai nostri ragazzi in questi tre anni e il livello che sono riusciti a raggiungere. Ma le proposte saranno addirittura due: la prima che vedrà riuniti i due gruppi di diplomandi e la seconda con la Grande Orchestra Sinfonica Altravoce.

Davvero un grande concerto.

Indubbiamente, anche se dietro a questo c’è il lavoro di un intero anno. Vedi, la serata del concerto è una giusta celebrazione, ma a essere veramente importante è quanto fatto prima, ogni singolo giorno, faticando ognuno sul proprio strumento, con l’impegno da parte nostra nel formare musicisti ma – soprattutto – nel formare persone, esattamente come accade (o dovrebbe accadere…, ndr) in ogni altra scuola. Il tabù di cui parlavo qui non esiste, e a dimostrarlo sono questi ragazzi che riescono a tagliare traguardi che mai avrebbero pensato di raggiungere. E non solo nella musica.

 

Mentre la mia chiacchierata con Silvia volgeva al termine, i musicisti hanno iniziato ad arrivare, perfettamente in orario per le prove e ovviamente accompagnati dai rispettivi genitori. E da lì si è sviluppata la seconda parte della mia visita alla sede di Altravoce, un «bis» che ha visto protagonisti le mamme e i papà di questi ragazzi, ovvero le figure delle quali troppo spesso ci si dimentica ma che – proprio come i loro figli – non è per nulla esagerato definire «speciali», e non per qualche strano superpotere in loro possesso, bensì per la sorprendente normalità che trasmettono quando parlano dei loro problemi, che sono esattamente quelli di ogni altra famiglia, con la differenza (non da poco) di tutto ciò che comporta avere un figlio disabile, magari costretto su una sedia a rotelle o con un’autosufficienza limitata. Eppure, parlando con queste persone non è trasparsa alcuna nota propria di quella lamentosa rassegnazione che ben si accorda con il pietismo tanto diffuso, e altrettanto «comodo», tipico di coloro che concentrano il loro impegno in una delle innumerevoli quanto inflazionate (e spesso insensate) «giornate mondiali» contro o a favore di qualsiasi cosa, metodo collaudatissimo per poter mettere in pace la propria coscienza con uno sforzo tutto sommato contenuto.

Intendiamoci, gestire situazioni come queste non dev’essere per niente facile, e sarebbe da ipocriti immaginare la vita di questi padri e queste madri senza un solo attimo di sconforto. Ma, a dimostrazione del fortissimo legame che li unisce, è stato incredibile sentirsi raccontare come in molti casi siano proprio i figli a sostenere i genitori nei momenti difficili, facendomi scoprire l’incredibile forza contenuta in persone che – tornando al citato articolo di Luca Dalla Palma – vengono giudicate solo dalle apparenze. E sempre apparenze, seppur diverse, sono appunto quelle che si cercano di salvare con un «like» su un social, o con una sporadica donazione, o – come detto – dedicando alla disabilità un giorno all’anno partecipando a un convegno, a una manifestazione o a un concerto, quando questi genitori di «disabilità» si devono occupare anche negli altri 364. Per tutta la vita.

C’è ancora molto da fare perché anche il semplice palare di disabilità non venga più considerato un qualcosa di fastidioso, di scomodo, di imbarazzante. Ma, in tutta sincerità, non vedo grandi prospettive alla luce dell’involuzione che sta interessando tutta la nostra società, dove l’individualismo ha assunto forme tali da sconfinare nel patologico. Non è un’esagerazione: se non mi credete, provate a entrare in un locale e osservate, in un qualsiasi gruppo di ragazzi seduti attorno a un tavolo, quanti stanno parlando fra loro e quanti sono immersi nel loro smartphone, ignari persino di quanto sta accadendo a pochi centimetri di distanza. E se questa è oggi considerata «normalità», ecco che non è per nulla esagerato definire Silvia Franzoni, Fabio Dalceri, tutti gli operatori, i genitori e chiunque sia impegnato nell’ambito della disabilità, persone «speciali». Ma non per qualche strano superpotere in loro possesso: semplicemente perché nella loro vita c’è spazio anche per gli altri. Non importa, poi, se in questo spazio ci sono anche fatica, difficoltà, sacrifici, tanto più quando si ha a che fare con un problema che – prima di pensare a un a soluzione – dovrebbe essere quantomeno affrontato; e senza grandi complicazioni: basterebbe volerlo. Perché, come disse Stephen Hawking: «Per quanto difficile possa essere la vita, c’è sempre qualcosa che è possibile fare».

Anche lui era «speciale».

Luca Morzenti – Movida Aprile 2018

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