Mondo Abilità

Il Blog di Altravoce Onlus

Ti sei mai sentito un pesce fuor d’acqua?

A chi non è capitato, ahimè almeno una volta nella vita, di ritrovarsi con un dito o un braccio ingessato, o più semplicemente con un mal di schiena così fastidioso da dover imparare a fare nuovi gesti durante la propria giornata? Nulla di grave magari, ma abbastanza da farci sentire un pesce fuor d’acqua.

Pochi anni fa, nel 2015, è scomparso uno dei più grandi neurologhi di tutti i tempi, Oliver Sacks che con la sua esperienza ha saputo diffondere il concetto di diversità al mondo intero (e di questo tema ne abbiamo parlato in questo articolo qualche tempo fa). Come dicevamo di quanto successo a Alex Zanardi, può capitare di doversi “riorganizzare” nella propria giornata o nella propria vita, magari anche per cose non gravi, ma la sensazione che proviamo è come minimo “fastidiosa”.

E’ quello che è successo a Oliver Sacks mentre stava scrivendo Un antropologo su Marte: un braccio destro immobilizzato per un’operazione chirurgica e la necessità di adattarsi a scrivere con la mano sinistra, dapprima in modo goffo, sgraziato e lento, per poi sentirsi più sciolto e, se vogliamo, più abile.

Un’identità diversa ma pur sempre tua

Avere un braccio al collo non è poi la fine del mondo, ma ti senti vulnerabile, fragile: sei tutto sbilanciato da una parte, non sai bene da che parte girarti quando devi prendere delle cose o fare i movimenti più semplici e Oliver se ne accorge:

Sto sviluppando abitudini diverse… un’identità diversa, si direbbe.

Sacks è sempre stato bravissimo nel far capire a chi non è medico quanto il nostro cervello sia così fantasticamente complesso ma allo stesso tempo così incredibilmente fragile.

La rottura della normalità quotidiana

Sviluppare abitudini diverse e identità diverse hanno come punto di partenza la rottura della normalità quotidiana: nelle sue storie, persone comuni si ritrovano a cambiare comportamento, a interpretare la realtà in un altro modo, talvolta per eventi “casuali”, altre per eventi “obbligati” che costringono i protagonisti ad adattarsi alla nuova condizione per far fronte a un cambiamento netto nella propria vita, ritrovandosi con una disabilità.

L’uomo che scambiò la moglie per un cappello

Come il caso de L’uomo che scambiò sua moglie per un cappello, dove un eminente musicista a seguito di un processo degenerativo non riesce a distinguere gli oggetti intorno a lui, non perché privo della vista ma in quanto scompare «la capacità di assegnare un significato visivo agli oggetti che vedeva attorno a sé»: da qui ci ritroviamo nel racconto dell’esilarante situazione che avviene al termine di una sessione neurologica, quando il paziente afferra la testa della moglie scambiandola per il suo cappello.

Il pittore che non vedeva i colori

O Il caso del pittore che non vedeva i colori, paradossale episodio in cui un affermato pittore, dopo un incidente d’auto, perde la capacità di distinguere i colori e le tonalità; una condizione, come si può ben capire, assai frustrante.

L’isola dei senza colore

O ancora, l’avvincente storia de L’isola dei senza colore dove Oliver narra il suo viaggio su un’isola del Pacifico la cui popolazione presenta un’altissima percentuale di persone che non riesce a distinguere i colori – sindrome chiamata acromatopsia – e al contempo ha una sensibilità aumentata nei confronti della forma, della tessitura, dei profili e della profondità.

Chi è quello strano?

E quasi sulle note di Il “Noi e Loro”, Sacks si chiede:

e se fossero loro a vedere strani “noi”, che siamo distratti dagli aspetti inutili della vita e insensibili verso ciò che conta davvero?

Senz’altro Sacks centra nel segno: che cos’è l’abilità, che cosa la disabilità, che cosa le altre abilità? Dalle sue storie, dai suoi racconti clinici, sentiamo quanto il confine tra normale e anormale sia davvero inesistente, tanto che anche un pesce fuor d’acqua può essere considerato nella norma.

Non ne esistono due uguali

E a proposito delle storie raccontate, Sacks approfondisce il tema dell’autismo, fin dai primi studi di Leo Kanner e di Hans Asperger negli anni Quaranta del secolo scorso e poi negli anni Settanta con quelli di Beate Hermelin e Neil O’Connor, che già indicavano le interferenze del quadro autistico in tre aree personali:

  • nell’interazione sociale
  • nella comunicazione verbale e non-verbale
  • nelle attività ludiche e d’immaginazione

Ma come si vede siamo ancora in categorie molto ampie, tanto che allora come oggi si può dire – come scrive Sacks – che

non esistono due persone autistiche uguali.

Una considerazione scontata per chi opera nel sociale, per chi è parente di una persona con disabilità o per chi, più semplicemente usa un po’ di zucca (perché mai due “autistici” dovrebbero essere uguali se ogni essere umano è unico?!), ma per nulla banale se pensiamo a un comune cittadino, lontano dalla disabilità.

Si all’empatia, no al sarcasmo, prego

Pensiamo quindi ai quei bambini o adolescenti che hanno diagnosi e vengono collocati nello spettro autistico. Sacks, parlando di una persona adultà con sindrome di Asperger, ad un certo punto scrive: «Fui colpito dall’abissale differenza fra la sua capacità di riconoscere in modo immediato e intuitivo gli umori e i segnali degli animali – e le sue straordinarie difficoltà a comprendere gli esseri umani, i loro codici, i loro segnali e il loro comportamento».

Essere umani

E le storie come quelle di Henry e Fraser sono testimoni dell’empatia tra gli animali e i bambini autistici, ma ci portano anche a pensare a come noi persone senza una disabilità ci siamo allontanate dagli schemi comunicativi più semplici e universali, privandoci della capacità – ancora presente nei bambini piccoli e nelle persone con altre e diverse abilità – di entrare in una sintonia sicuramente più umana. E quanto sarebbe bello se ogni bambino in questa condizione potesse non sentirsi mai un pesce fuor d’acqua…

Mi sento un antropologo su Marte

In effetti Oliver, quando poi si ritrova a contatto con una sua paziente, una donna con autismo, dice di comprendere ciò che la signora gli confida: lei cerca in ogni modo di comprendere le gestualità, le frasi rituali, i doppi sensi e le affermazioni dette ma smentite dall’atteggiamento corporeo e dalla comunicazione non-verbale –  ma proprio non riesce; un modo di essere che fa  parte della vita sociale delle persone, ma la signora, come fosse un pesce fuor d’acqua si sente catapultata in un mondo strano: “Dottore, mi sento come un antropologo su Marte”.

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Lo trovi qui: Un antropologo su Marte

Pietro Lorengo e Fabio Dalceri

Volontari di Altravoce

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