Mondo Abilità

Il Blog di Altravoce Onlus

Due commoventi storie di inclusione nella diversità

Se si pensa d’istinto alla persona disabile, di primo acchito si va sulla convenzionale immagine dell’uomo in carrozzina, ma subito dopo arriva quella di chi ha la sindrome di Down. La Trisomia 21 è una condizione genetica abbastanza diffusa – si parla di un caso su 700 nati vivi – e la condizione è diversa per ogni persona.

La cosa certa è l’anomalia nel DNA, nel quale è presente il cromosoma numero 21 in una quantità di 3, invece che in coppia come tutti gli altri: il cromosoma in più porta ad un caratteristico tratto orientaleggiante degli occhi, generalmente ad iperglossia (ossia una dimensione eccessiva della lingua) e ad un ritardo nello sviluppo che può essere più o meno importante – oltre a varie patologie cardiache che possono presentarsi con più facilità.

Le conseguenze sociali

Purtroppo i problemi non sono soltanto fisici: esistono ancora casi di discriminazione, bullismo e in generale scarsa considerazione dal punto di vista lavorativo o sociale per una persona che ha la Trisomia 21.
Rispetto ai decenni precedenti, come società oggi abbiamo fatto e stiamo facendo passi da gigante: la sensibilità nel saper accogliere una persona fragile sta pian piano raggiungendo sempre più persone.

Ci sono quindi anche “le storie belle”, quelle in cui è normale includere nella vita e nelle attività a disposizione di tutti persone con disabilità.

La paura dei bulli, la vergogna e la redenzione di una figlia

Richie Anne Castillo è una ragazza filippina come tante, ma con una particolarità: suo padre ha la Trisomia 21. Già di per sé è un evento straordinario, perché per le persone in questa condizione è molto più difficile avere figli, ma il destino ha voluto che Richard riuscisse a coronare il suo sogno d’amore.

Per anni Richie Anne ha subito il bullismo tipico dei compagni di classe, che la prendevano in giro considerandola “non normale”: la cosa peggiore è che lei non capiva.

“Dicevano che mio padre era strano, diverso: ma io vedevo solo il mio papà”

A causa di questi bulli però la ragazza ha cominciato a vergognarsi per la condizione di Richard, nascondendolo al mondo per paura di pagare conseguenze sulla propria pelle per “colpa” di suo padre.

Crescendo però Richie Anne ha capito che non c’era nulla per cui imbarazzarsi, l’uomo era sì più fragile e con tratti diversi da altri, ma in questo mondo quanti hanno dei connotati che si discostano tra loro? Fatto sta che Richard ha compiuto 50 anni, grande traguardo per le persone con la sindrome di Down – e la figlia si è mostrata orgogliosa in una lunga lettera aperta su Facebook.

“Ti ho visto al tuo peggio, mentre ti accasciavi dicendo che eri stanco: non sai quanto avrei voluto prendere il tuo posto in modo che tu non soffrissi più!”

Parole che commuovono per l’amore sincero che Richie Anne prova per suo papà. Più avanti si scusa per averlo trascurato, per non essere passata spesso a trovarlo, di non essere andata spesso al mare con lui, pentita della sua “codardia” di cui si auto accusa. Aveva paura del giudizio delle persone ignoranti, così tanta paura da rischiare di perdere colui che la amava più della sua stessa vita. “Sei l’essere umano più forte che io conosca: nonostante tutte le operazioni che hai subito, hai sempre detto di non avere paura, perché hai grande fede in Dio” continua orgogliosa Richie Anne, che ora, oltre alla consapevolezza della condizione del padre, ha anche la sicurezza della dimensione della sua umanità.

Richard oltre ad aver compiuto 50 anni è riuscito anche a ritrovare sua figlia: il regalo più bello che potesse mai ricevere.

La storia di Walter, accudito e amato da tutto il quartiere

Da Lecce arriva una storia che fa sperare in bene per la quantità di affetto incondizionata mostrata da tutto un quartiere, per essere precisi il Rione Casermette, dove Walter Pellè nacque 67 anni fa. Anche lui diagnosticato con la Trisomia 21, è la dimostrazione che se si vive a contatto con persone che mettono in condizione di essere sé stessi, si può trascorrere un’esistenza speciale nella sua normalità.

“E’ sempre stato molto intelligente” commenta un famigliare, “in neanche un mese capiva quali erano gli attrezzi che andavano usati in ogni mestiere”. Quindi si parla di inclusione lavorativa, un tema molto caldo anche oggi, ma che non tutti hanno il coraggio di attuare. Walter ha sempre svolto piccoli lavoretti per poter realizzarsi e vivere una vita piena, che lo ha portato anche a far parte per ben trent’anni della squadra di calcio locale.

“Pellè Walter, numero 10”

Ormai gli arbitri lo consideravano parte integrante dell’organico e quindi doveva fare il riconoscimento come tutti gli altri.

Andava in campo con i compagni, per poi accomodarsi in panchina a sostenere la squadra da vero leader carismatico.

Walter è molto amato da tutta la comunità: non solo lo hanno visto crescere tra difficoltà e mille conquiste, ma capitava che uscisse in strada e chiunque lo incontrava si fermava ad abbracciarlo. Ora purtroppo non può uscire di casa, ma l’affetto dei concittadini non si è placato, infatti spesso le persone bussano a casa Pellè per andare a salutarlo, a ricordare i bei tempi passati insieme o addirittura per portargli dei regali.

Inoltre, nella sua vita piena, Walter ha avuto tempo anche per la musica, imparando negli anni a suonare l’armonica a bocca, con la quale si intrattiene con un suo nipote chitarrista.

La normalità è la diversità

Queste sono le storie che vogliamo sentire: una persona con sindrome di Down non è da trattare in maniera diversa. Sicuramente bisogna avere gli strumenti – emotivi ed educativi – per saperla accogliere, ma sono aperture che chiunque può avere, anche chi non lavora nel sociale. Una persona fragile può amare, odiare, avere interessi come ogni essere umano – e la trentennale permanenza di Walter nella squadra di calcio ne è la riprova. Capita che arrivino dei figli, come nella storia di Richard – e che vengano concepiti con donne senza disabilità – dando un potentissimo messaggio di inclusione e amore sopra qualsiasi cosa, oltre ogni barriera. Alla fine, l’attrazione fisica è questione di chimica e alchimia tra i due individui in questione, si guarda il colore degli occhi, non il numero di cromosomi posseduti.

Una persona non è la sua diagnosi, non tutti siamo uguali.

– e aprire gli occhi ci farà vedere anche le cose in cui uno è abile invece che concentrarci solo sul disabile.

Cristian Petenzi

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