John McFall sarà il primo astronauta con disabilità della storia
Un passo nell’universo. Un salto nel cuore dell’umanità.
John McFall non è solo un ex campione paralimpico.
Non è solo un chirurgo ortopedico.
E non è nemmeno “solo” una persona con una gamba amputata dopo un incidente in moto a 19 anni. John è ora, ufficialmente, un astronauta pronto a volare nello spazio.
E questa, lasciatecelo dire, è una notizia che fa battere il cuore.
Una nuova frontiera per l’umanità
Il via libera è arrivato proprio nei giorni scorsi: la commissione medica della Stazione Spaziale Internazionale ha dato il benestare definitivo.
Dopo anni di studi, analisi, test e tanta determinazione, John McFall ha ottenuto la più alta certificazione al volo spaziale.
È pronto, se chiamato, a partire per una missione di lunga durata sulla ISS.
Non è solo una vittoria personale.
È un passo epocale per la scienza, per lo spazio… e per tutti noi.

Lo studio Fly!: da un’idea al cielo
Tutto ha inizio nel 2020 con una domanda tanto semplice quanto rivoluzionaria:
“E se anche una persona con disabilità potesse andare nello spazio?”
Da qui nasce Fly!, lo studio di fattibilità dell’Agenzia Spaziale Europea (ESA) per valutare quali disabilità potessero essere compatibili con la vita in orbita.
Dopo attente analisi, viene stabilito che condizioni come la bassa statura, differenze nella lunghezza delle gambe o l’assenza di un arto inferiore non precludono – necessariamente – l’avventura spaziale.
È allora che, nel 2021, entra in scena John McFall, un uomo abituato a superare i limiti.
Con la sua protesi, le sue medaglie paralimpiche e il suo spirito instancabile, John diventa il candidato perfetto.
Per tre anni, gli esperti hanno studiato ogni possibile rischio.
Risultato?
Nessun ostacolo. Nessuna barriera.
Niente che potesse impedire a McFall di puntare alle stelle.
Il sogno diventa missione
Con l’ok medico, John è entrato ufficialmente nella fase “mission ready”.
La sua protesi sta completando il processo di certificazione per l’ambiente spaziale.
Intanto, l’ESA ha aperto una “call for opportunities”, chiedendo a scienziati e università di proporre esperimenti che sfruttino proprio le sue caratteristiche uniche.
L’obiettivo?
Non solo dimostrare che si può andare nello spazio anche con una disabilità, ma fare scienza. Lasciare un’impronta. Aprire strade nuove.

Oltre i limiti, oltre la Terra
Non sappiamo ancora con certezza quando partirà.
Tutti gli astronauti ESA sono in lista d’attesa, e John non vuole – giustamente – scorciatoie.
Ma il tempo c’è: la Stazione Spaziale resterà operativa fino al 2030, e nel frattempo si guarda già più in là, verso il Lunar Gateway, la nuova stazione lunare internazionale.
Che sia verso l’orbita terrestre o il nostro satellite, una cosa è chiara: John McFall volerà.
Una storia che ci riguarda tutti
Questa non è solo una storia spaziale.
È una storia umana. Di coraggio, inclusione, progresso.
È la dimostrazione che i confini che mettiamo spesso davanti ai sogni – mentali, fisici, sociali – possono essere abbattuti.
E che i “limiti” sono, a volte, solo punti di partenza.
John McFall non è un’eccezione. È un’ispirazione.
Un simbolo di cosa succede quando non ci si chiede “chi non può fare qualcosa”, ma “cosa possiamo fare insieme per rendere tutto possibile”.
E mentre lo immaginiamo fluttuare in assenza di gravità, con la Terra sotto di lui, una cosa è certa: a volte, per toccare le stelle, non servono due gambe. Basta avere il cuore giusto.

Giulia Gaioni
Volontaria Altravcoce