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Disabilità e sport: la storia di Bebe Vio

Nell’immaginario collettivo, è molto difficile che una persona con disabilità sia considerata capace di praticare sport, soprattutto ad un certo livello. Rimaniamo stupiti dinnanzi alle immagini degli atleti paralimpici – e non solo per la forza d’animo che hanno – ma per il livello di competitività che riescono a mostrare. Una di esse è Beatrice Vio – da tutti chiamata Bebe – che si ha conquistato letteralmente il mondo della scherma e non solo, diventando un fenomeno mediatico su disabilità e sport.

“La vita è una figata”

Con la storia di Mattia Negusanti avevamo raccontato di come si può superare una disabilità acquisita. Bebe Vio nasce infatti a Venezia il 4 marzo del 1997 senza alcuna forma di disabilità. Sin da bambina si intuisce la sua spiccata personalità: a quattro anni, durante un saggio di ginnastica artistica, rimane delusa perché in quel frangente non può vincere niente. Si appassiona alla scherma dall’anno successivo – e inizia a valorizzare questo suo senso di competitività.

A undici anni, però, tutto si stravolge: Bebe viene colpita da una forma fulminante di meningite, che le causa estesissime infezioni e necrosi in tutto il corpo, soprattutto in corrispondenza dei quattro arti, che le vengono amputati. Neanche a dirlo, il mondo si stravolge. Bebe Vio non si lascia andare; chiede all’ospedale di dimetterla poco prima del suo compleanno, nonostante abbia ancora le ferite aperte. Vorrebbe trascorrere quel giorno nella sua casa. Suo padre deve provvedere alle medicazioni, purtroppo senza morfina, sentendola urlare e piangere di dolore – per un genitore una delle cose peggiori che potrebbero capitare.

Un efficace esempio di psicologia inversa

Da qui, la svolta: Bebe Vio comunica al padre di volersi suicidare, di non poter continuare a vivere in questo modo – e prova a buttarsi dal letto. Lui la prende al volo e la affronta a muso duro dicendole che se davvero voleva morire avrebbe dovuto dirlo chiaro – e lui l’avrebbe aiutata portandola sul balcone al secondo piano poiché lei potesse buttarsi. Lei rimane sgomenta, ed è qui che arriva la frase chiave che ha fatto nascere la campionessa:

“Bebe, non rompere le palle che la vita è una figata!”

Forse non molti genitori sarebbero riusciti ad affrontare un momento di tale gravità con questa forza: la prima parte del discorso del papà penso che sia la sublimazione dell’amore che un padre può provare per la figlia.

Vincere e divertirsi

Secondo Bebe Vio, lo sport non dovrebbe essere un lavoro, ma un divertimento, perché se si va avanti per inerzia si rischia che perda il proprio nobile valore per lasciare il posto a quello del denaro. E questo pensiero non è da parte di una persona qualunque, ma da una ragazza che dal 2014 al 2017 ha vinto tanto, a proposito di sport e disabilità: 3 ori europei, 2 ori mondiali e un oro paralimpico individuale, oltre a un oro e un argento europeo, un oro mondiale e un bronzo paralimpico a squadre.

Bebe Vio: la dimostrazione umana di quanto i limiti della disabilità possano essere superati grazie ad una mente lucida e ad un’ironia spiccata e arguta.

Fondamentale, come spesso accade per chi ha una disabilità, è anche il ruolo della famiglia che ha intorno: oltre agli orgogliosissimi genitori, è da citare anche il nonno, che la stessa Bebe Vio dice essere più attaccato di lei alle sue medaglie. Come raccontato in un aneddoto a “Che tempo che fa”, il nonno vuole tenere in casa le numerose medaglie vinte dalla nipote, rimproverandola e dicendole di sfoggiarle ogni tanto, almeno quando è fresca di vittoria.

Come trattare la disabilità?

Ascoltare i pensieri di Bebe Vio è veramente illuminante, poichè riesce, con la sua ironia, a dire al mondo come dovrebbe essere trattato il tema della disabilità:

con assoluta normalità.

Non bisogna nascondersi dietro ad inutile retorica e/o buonismo che assale chiunque veda qualcuno con handicap fisici o mentali. Lei stessa ci insegna che cosa significa vivere bene con sé stessi, tanto che a volte si stacca le protesi che tiene al braccio per fare qualche selfie (nella sua “collezione” ci sono personaggi di spicco come Barack Obama, Sergio Mattarella, Giorgio Napolitano e Usain Bolt ndr), facendoci capire che trattare la persona disabile con “delicatezza” estrema, senza pretendere nulla, è l’atteggiamento più sbagliato da tenere.

Il segreto è pretendere.

Bebe definisce addirittura “comodo” il fatto di essere disabile, per il fatto di avere privilegi come il parcheggio riservato e il biglietto ridotto al cinema, dimostrando di vivere con leggerezza una vita che penso ognuno di noi faticherebbe persino ad immaginare.

Ad Altravoce l’approccio che si utilizza è esattamente questo: far sentire capace quel bambino o ragazzo disabile, permettendogli di “scontrarsi” con le difficoltà per poi pian piano portarlo a superarle brillantemente. Anche se il mezzo utilizzato non è lo sport ma la musica, il concetto è lo stesso: far sì che ognuno possa esprimersi al meglio trattandolo normalmente, con percorsi personalizzati ma pretese senza dubbio ambiziose.

E a proposito di ambizione, prendiamo esempio da questo scatto: l’urlo di Bebe Vio dopo una delle sue innumerevoli vittorie. Sono queste le immagini che ci fanno capire quanto i limiti, anche i più duri, possano essere superati. E in quell’urlo ci sono anni di malattia, sacrifici, gioie, dolori: grande Bebe, ci vediamo ai Giochi Paralimpici di Tokyo 2021!

Cristian Petenzi

Guarisce dalla leucemia anche grazie alla musica

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