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La Coscienza Nella Modernità

Nella modernità assistiamo ad una crescente attenzione verso il problema della coscienza. Più che di un singolo problema, tuttavia, si dovrebbe parlare di un insieme di problemi che la riguardano:

  • Di ordine concettuale;
  • Di tipo empirico;
  • Metateorici

Ritengo opportuno iniziare dando una definizione della parola. Con “coscienza” si intende generalmente la consapevolezza che il soggetto ha di sé stesso e del mondo esterno con cui è in rapporto. Ma riguarda anche la percezione della propria identità e del complesso delle proprie attività interiori.

Il modo in cui essa è stata trattata e intesa è cambiato nella storia, portando ad una progressiva separazione tra i due poli: pensiero-ragione e sentimenti. Ma facciamo un passo indietro e analizziamone gli sviluppi.

La Coscienza Nella Storia E La Separazione Delle Due Sfere

Alla base del concetto, vi è l’idea secondo cui la coscienza sia consapevolezza, una proprietà funzionale che ci fa rendere conto di essere esseri pensanti. Essa indica anche, però, una consapevolezza morale-religiosa.

Fin dall’Antica Grecia, avere coscienza, significava poter giudicare le proprie azioni come “buone” o “cattive”, concetto poi passato anche nella successiva tradizione del Cristianesimo. Questo implica anche la creazione di un luogo interiore che non può essere penetrato dalla percezione sensoriale. Uno spazio, insomma, in cui ritirarsi.

Nella modernità, i due concetti di “consapevolezza” (funzionale) e di “coscienza” (più astratta e morale) appaiono irrimediabilmente divise. La sfera emozionale si è infatti allontanata da quella della conoscenza e del pensiero: la scienza ha cercato di eliminare ogni interferenza tra i due, favorendo nettamente la ragion critica. A causa di questa preferenza, l ragione attuale appare come mera metodologia: utile, sì, ma inadeguata nel comprendere i meccanismi insiti alla coscienza.

Anche la psicologia è restia a superare quel modello razionalistico che le a permesso di essere annoverata tra le scienze. Il pensiero e gli affetti sono infatti integrati in una visione inquadrata dalla ragione delle scienze naturali.

Parlare di reintegrazione delle due sfere comporta un approfondimento sulla struttura del sapere, su come essa è stata pensata.

Le Origini Del Modello Di Conoscenza

Fino all’età dei Lumi, pensiero e ed emozione erano visti in fase teologica, nei termini di una necessità di mantenere la coscienza pura in vista di un aldilà. La Chiesa aveva influsso diretto su ogni campo della vita: sociale, politica, sentimentale, religiosa.

Nel 1700 avvenne invece il rifiuto dell’accettazione acritica della tradizione. L’ideologia alla base era una grnde fiducia nel progresso, che portò a credere che nessun campo della vita umana e sociale (anche religiosa e politica), dovesse sottrarsi all’indagine razionale.

Da questo progetto di razionalizzazione critica, che necessariamente si scontrava con l’ambizione che ha ogni religione, in quanto sistema di significati, di dare un’interpretazione globale della società e del mondo, trae origine la possibilità stessa di una scienza del sociale.

Dall’Illuminismo la società ha subito un processo di progressiva secolarizzazione, un processo di perdita di rilevanza della religione nella vita sociale. Il retaggio è però rimasto. La cultura medievale attuava una rigida differenziazione tra intelletto e volontà, , l’età cartesiana ha drasticamente scisso il “mentale” dl “corporeo”

Il simbolico, associato alla sfera di un sentimento regolato dall’immaginazione e dall’emozione, ha perso la sua densità cognitiva. Viceversa, il “cognitivo”, associato alla razionalità, ha perso la sua sfera simbolica. Da sempre, invece, il sapere dell’uomo, coniuga la competenza cognitiva in base al sentimento del senso.

Risonanza Emotiva E Sapere Dell’Uomo

La relazione tra sentimento e razionale è evidente anche nella vita quotidiana.

Quando si rimane “incantati”, “attratti”, da un modo di fare o parlare, ci si dispone a una positiva relazione con l’altro soggetto. Il simbolico della coscienza si attiva a livelli molto profondi. Dal tono della voce si tende ad identificare simbolicamente una persona: non si accerta solo la sua presenza fisica ma se ne crea una figura qualitativ.

La voce, il colore, la forma, la materia, il movimento assumono valore di simbolo evocatore delle qualità dell’altro. Il simbolico sviluppa così, contestualmente, una percezione dell’altro senza la quale non si darebbe esperienza propriamente umana della realtà. L’immediatezza di questo sentire consente di darsi un orientamento anche sul modo di volere che è proprio alla persona, altrimenti non afferrabile.

Questa immediatezza non può dipendere da una mera percezione fisica: si sa che una persona non è la sua voce o il suo modo di apparire. Ma, al contempo, non si può nemmeno quindi pensare che la percezione simbolica sia attività arbitraria dell’intelletto.

La relazione umana è simbolica, del simbolo si nutre e ci permette di chiarire a noi stessi i nostri intenti, voleri e desideri.

Giada Franzoni

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