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La musica salva la vita: 3 casi emozionanti

La musica salva la vita. Affermazione un po’n difficile da argomentare vero? Ma sia chiaro, non è da intendersi in maniera letterale, bensì nel modo in cui essa agisce sul nostro stato d’animo, anche quando non lo chiediamo espressamente.

Ci sono situazioni nella vita in cui vorresti mollare, perché sembra che tutto ciò che accade è parte di una specie di complotto nei tuoi confronti. Inutile negarlo, almeno una volta nella vita l’abbiamo pensato tutti, dalle piccole cose come “al lavoro sono il meno considerato” o “i miei genitori preferiscono mio fratello” a circostanze molto più gravi come la morte di un nostro caro o una grave condizione o malattia. Normalmente nel primo caso per distrarsi ci si mette le cuffie, si chiudono gli occhi e grazie alle onde sonore i problemi sono momentaneamente alleviati.

Nel secondo caso invece è “un po’ più difficile”, poiché subentra la demoralizzazione data dal fatto che non ci possiamo fare nulla. In queste circostanze è difficile che il primo pensiero per stare meglio vada alla musica, non bisogna nascondersi: la musicoterapia stessa non è nata per guarire i sintomi di una qualsivoglia patologia ma, dall’altra parte, è la musica stessa a venire in tuo soccorso, senza che tu l’abbia espressamente chiesto, e svolge una funzione palliativa in maniera eccellente: ecco tre casi sorprendenti di cosa può rappresentare quest’arte per gli esseri umani.

Evie, la forza di lottare sempre

Ora, immaginate le difficoltà di una persona che nasce affetta da cecità: se poi oltre a questo, si aggiunge anche l’anoftalmia – ossia l’assenza di uno o di entrambi i bulbi oculari – si può pensare ad una specie di inferno in terra. Questo è il problema che accompagna la piccola Evie, 8 anni, abbandonata alla nascita in Cina finché è stata trovata da Katie e Craig, una coppia statunitense che l’ha adottata.

In un caso del genere, quanto è difficile pensare che “la musica salva la vita”? Sembra quasi irrispettoso pensarlo, la sua vita sembra quasi compromessa vista da fuori.

A quattro anni la piccola pesava soltanto 5 kg, che è poco più del peso di un bambino appena nato, quindi pesantemente denutrita e con un bisogno enorme d’amore. Arrivata negli USA con la sua nuova famiglia, Evie ha cominciato a curarsi per le varie patologie connesse al suo precario stadio fisico – aggravate da una diagnosi di stress post-traumatico per ciò che aveva subito nel suo Paese d’origine – che la portava spesso ad avere incubi, insonnie e flashback di ciò che le era capitato.

Poco prima di un esame di routine Evie ha una crisi di panico molto pesante che i medici e i genitori non riescono a placare in nessun modo. Entra così in scena Emma Wymer, una musicoterapista, che si approccia alla bambina cantandole la sua canzone preferita, “Scars to your beautiful” di Alessia Cara.

Accade l’incredibile:

Evie si unisce al canto accompagnato dalla chitarra di Emma.

Inizialmente la voce trema, poi prende confidenza con la canzone e inizia a vocalizzare convinta, bloccando di fatto la propria crisi di panico. Grazie all’intervento di questa professionista, i medici hanno potuto effettuare l’esame che avevano pianificato sulla piccola.

Sentirsi soli in ospedale

Purtroppo quando si supera una certa età è più facile veder sopraggiungere malattie di natura cardiaca, che bloccano anche l’intraprendenza che certi anziani hanno.

Patsy Tate, 71enne di Nashville, era stata ricoverata proprio per disfunzioni relative al suo cuore – ed era entrata in un preoccupante tunnel di malinconia a causa del ricovero. Quando un giorno sono andati a trovarla suo marito con la loro nipote, gli stessi hanno trovato la donna in condizioni di tristezza estrema, quasi apatica. Così, quando l’uomo ha visto entrare un’infermiera che canticchiava ha provato il tutto e per tutto chiedendole di cantare “Amazing Grace”, la canzone preferita di Patsy. Potete vedere da voi cosa ha risposto la professionista ai due anziani.

Finalmente la donna inizia a sorridere, scacciando un po’ della malinconia che l’aveva presa. E’ stato fondamentale l’apporto di Mikea Braden, l’infermiera con la voce angelica, perché ha riportato un po’ di gioia a chi purtroppo non ne aveva più a causa delle vicissitudini della vita.

La nipote, Olivia, ha commentato l’accaduto dicendo di essersi commossa fino alle lacrime e di “aver visto la nonna illuminarsi”. L’effetto dei farmaci è stato supportato dal potere della musica cantata da Mikea, che ha illuminato la stanza con la sua arte. Ricordiamoci: in sé la musica non è magica. E’ ciò che proviamo quando l’ascoltiamo o la suoniamo che fa tutta la differenza del mondo.

La paziente deve rimanere cosciente: perché non farla cantare?

Kira Iaconetti, 20 anni, è una cantante professionista. Ha iniziato a far musical da quando aveva sei anni – e da lì non si era più fermata. Lei stessa dice che il suo “tratto distintivo” è quello di saper cantare e recitare.

Peccato che il destino abbia voluto mettersi in mezzo. Purtroppo a Kira è stata diagnosticata un’importante epilessia, che non solo le dava convulsioni ogni volta che ascoltava la musica, ma non le permetteva di esprimere al meglio il suo potenziale, poiché aveva colpito la zona del cervello adibita all’espressione musicale. Durante una risonanza magnetica le è stato trovato un grosso tumore al lobo temporale del cervello, che era da togliere al più presto.

Il rischio però era alto: non solo era un intervento pericoloso perché a cervello aperto, ma avrebbe potuto perdere anche il suo grande talento se il chirurgo avesse intaccato una zona importante per questa sua espressione. Da qui l’idea geniale dei dottori: visto che durante un’operazione al cervello il paziente deve rimanere cosciente e dato che Kira, cantando avrebbe attivato quella precisa parte del cervello deputata a quell’arte, perché non farla cantare? Ecco il risultato.

Con questo stratagemma, i medici sono riusciti a vedere quali erano le zone del cervello utilizzate per il canto, andando così ad evitarle meticolosamente affinché Kira non perdesse il suo talento.

Sia chiaro, Kira deve la sua sopravvivenza ai medici, ma penso non sia un sacrilegio affermare che il canto ha contribuito al successo dell’intervento. La musica salva la vita, o per lo meno aiuta i supereroi in corsia a svolgere il loro fondamentale lavoro al servizio di tutti noi.

Fortunatamente la ragazza potrà continuare a cantare emozionando il pubblico, sapendo che tutto questo è soprattutto merito di un chirurgo con una straordinaria sensibilità verso i propri pazienti.

Dissipare la nebbia

A furia di essere ripetitivo, la musica salva la vita – e questi tre casi sono propedeutici per far comprendere il mio punto di vista.

Ad Altravoce cerchiamo di applicare questa filosofia per dissipare la nebbia che a volte la disabilità mentale lascia nell’esistenza dei nostri allievi, per far sì che possano godere appieno di tutti i piaceri che essa presenta a chi può e vuole cercarli.

Cristian Petenzi

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